Industria e ambiente

Per un atlante storico dell’impatto sul territorio dell’industrializzazione diffusa e intensiva

Valle del Sacco

Inquadramento storico e territoriale

Nome industria

Bomprini Parodi Delfino (dal 1912 al 1968) – Snia Viscosa (dal 1968) – numerose altre aziende localizzatesi a seguito della pianificazione industriale promossa dalla “Cassa per le opere straordinarie di pubblico interesse per il Mezzogiorno” (Casmez) grazie alla quale nacque il “Nucleo di industrializzazione Valle del Sacco” (1962)”. Tra cui: Osim Plocco – Plasti Sud – Clipper Oil Italiana – Xiloplast – Klopman – Henkel – Squibb – Elicotteri meridionali – Bristol Meyers, altre…

Cronologia

A partire dal 1912, con un intensa espansione tra il 1957 e gli anni '90.

Localizzazione geografica

Provincia meridionale di Roma (comuni di Gavignano – Colleferro – Segni) e l'intera provincia di Frosinone.

Insediamento produttivo

Proprietà

Tutte le industrie insediatesi nella Valle risultavano, e risultano, a capitale privato (italiano e straniero). Quelle localizzate a seguito dell'istituzione del Nucleo di industrializzazione (Ni), tuttavia, godettero, in modo continuativo, del sostegno finanziario di enti pubblici collegati alla Casmez, come l'Isveimer (Istituto per lo sviluppo economico dell’Italia meridionale, costituito con r.d.l. 883/3 giugno 1938, riordinato con l. 298/11 aprile 1953 e posto in liquidazione nel 1996).

Descrizione

La Valle del Sacco è situata nel cuore del Lazio meridionale. Un lungo periodo di sclerotizzazione produttiva degli assetti agricoli, aggiuntasi la crisi bellica del 1940-45, ne ha determinato l’inserimento, da parte degli organi competenti dello Stato, nella categoria «aree depresse», con consecutiva pianificazione di un nucleo di sviluppo industriale sostenuto dalla politica di incentivazione promosso dalla Cassa per il Mezzogiorno. Si trattò di una sistematica rinuncia a fare dell'agricoltura la principale fonte di reddito locale, anche se ciò non comportò un vero e proprio abbandono della terra. Il rapporto con l’attività agricola si allentò in tempi piuttosto rapidi, divenendo un’attività di integrazione a quella operaia e legata quasi esclusivamente all'autoconsumo familiare. Gli interventi pubblici e l’arrivo del capitale estero, se per alcuni punti di vista comportarono un effettivo miglioramento delle condizioni sociali ed economiche delle popolazioni – con la fuga in massa dalle campagne e l’inserimento della ex manovalanza contadina e bracciantile nel sistema-fabbrica – dall’altro compromise progressivamente la vocazione naturale della regione.

Settore produttivo

(riferimento alle categorie ISTAT)

C Attività Manifatturiere
20 Fabbricazione di prodotti chimici
20.1 Fabbricazione di prodotti chimici di base, di fertilizzanti e composti azotati, di materie plastiche e gomma sintetica in forme primarie
20.13 Fabbricazione di altri prodotti chimici di base inorganici
20.13.09 Fabbricazione di altri prodotti chimici di base inorganici
24.15-Fabbricazione di concimi e di composti azotati
24.16-Fabbricazione di materie plastiche in forme primarie
24.17-Fabbricazione di gomma sintetica in forme primarie
24.2-Fabbricazione di pesticidi e di altri prodotti chimici per l'agricoltura
24.5-Fabbricazione di saponi e detergenti, di prodotti per la pulizia e la lucidatura, di profumi e prodotti per toletta
24.51-Fabbricazione di saponi, detersivi e detergenti, di prodotti per la pulizia e la lucidatura
24.6-Fabbricazione di altri prodotti chimici
24.61-Fabbricazione di esplosivi
24.62-Fabbricazione di colle e gelatine
24.7-Fabbricazione di fibre sintetiche e artificiali
25.2-Articoli in materie plastiche
25.21-Lastre, fogli, tubi e profilati in plastica
35.20.1-Costruzione di materiale rotabile ferroviario
35.20.3-Riparazione di materiale rotabile ferroviario
26.51-Produzione di cemento
26.52-Produzione di calce

Storia produttiva

Lo sfruttamento sistematico delle risorse naturali, e dunque un primo sviluppo industriale della Valle del Sacco, è storicamente riscontrabile in due distinte aree. Nell'area settentrionale della valle, attorno alle campagne di Anagni - Segni (dove negli anni ’30 nacque l’agglomerato di Colleferro) e più a sud, a ridosso del comune di Ceccano.
I due poli vennero a convergere nel 1936, quando l’industria bellica Bomprini Parodi Delfino (Bpd) di Colleferro, l’impianto di maggior spicco da punto di vista produttivo, iniziò alcuni piani di ampliamento, i quali andarono ad interessare l’area agricola e il patrimonio forestale del comune di Ceccano.
La Valle del Sacco rispondeva perfettamente ai criteri logistici, politici e amministrativi necessari per l’installazione di un’industria bellica. Nel 1911 la società acquistò, in questo perimetro, i suoi primi 34 ettari di terreno. Parteciparono alla costruzione degli stabilimenti e dei macchinari anche imprenditori stranieri, tra i quali si ricordano i Lung, Tyssen, Vorstmann, Nathan-Thompson e Rintoul.
Alla fine del 1913 funzionavano già i reparti per la produzione dell'acido nitrico e quello per la purificazione e distillazione della glicerina. In ultimo fu avviato il reparto per la balistite e la dinamite. Fu l'inizio della costruzione di una vera e propria «città-fabbrica».
La prima guerra mondiale comportò ovviamente una fortissima crescita della produzione locale, ch passò dagli iniziali 1000 kg. di balistite al giorno del 1913 ai 3500 kg. del 1915.
Lo sviluppo strutturale degli stabilimenti non si arrestò una volta terminata la guerra, la superficie totale della sola Bpd passò dai 340.000 mq. del 1913, ai 1.450.000 del 1928, per arrivare fino ai 6.228.000 nel 1965.
Già nei primi anni ‘20 la Bomprini tese ad ampliare il proprio raggio di produzione estendendo i propri interessi imprenditoriali anche verso la produzione di calci, cementi e concimi chimici.
Attorno al nucleo originario della Bpd, nel tempo, si raggrupparono anche altre attività, al fine di rendere più razionali i cicli di lavorazione degli esplosivi ed estendo il proprio raggio commerciale grazie alla produzione sia di prodotti intermedi (acido solforico, glicerina industriale), sia di prodotti ricavati dall'utilizzo dei cascami di tali lavorazioni (perfosfati minerali, solfato ammoniaco). Una successiva fase di espansione fu poi contraddistinta dalla creazione di nuovi reparti delle stesse produzioni esplosive (dinamiti, polveri di lancio). Uno sviluppo articolato soprattutto tra il 1918 e il 1927, quando venne inaugurato un nuovo stabilimento per la produzione del tritolo e, durante la seconda guerra mondiale, con la produzione di nitrocellulosa.
Alla fine del conflitto mondiale fu successivamente messa in moto una vera e propria opera di riconversione produttiva, con gli stabilimenti Bpd che potenziarono il loro collegamento col mercato chimico in due precise direzioni, quella industriale (intensificando le produzioni di anidrite ftalica, meleica, resine di poliestere) e quella agricola (antiparassitari e insetticidi). Quest’ultima, fu potenziata con la nascita della “Divisione prodotti chimici”, interamente dedicata a prodotti destinati all'industria agro-alimentare: l’esaclorocicloesano, (principale causa della crisi ambientale della Valle), il lindano, gli esteri fosforici, l’ossicloruro di rame. Tra gli altri insetticidi prodotti si ricordano anche l’aldrin, il clordano, il ddt, l’endrin. Tra gli anticrittogamici, la base di captan, il mercurio organico, l’ossicloruro di rame, benzene, zineb, (fertilizzanti fosfatici).
Tra il 1955 ed il 1956 fu inoltre avviata una sezione tessile in località «Castellaccio», impianto dedicato alla produzione della fibra sintetica “poliamidica delfion”, il quale più di altri visse una notevole espansione negli anni del boom economico, divenendo, a metà anni ’60, circa cinque volte più grande dell'originario.

Con la nascita del “Nucleo di Industrializzazione della Valle del Sacco”, tra il 1961 ed il 1963, si potenziò in modo sistematico un ordine produttivo cresciuto gradualmente grazie all’iniziativa di altre imprese locali del settore tessile e della trasformazione, congiungendo in un unico asse tutte le piccole e medie realtà sparse sul territorio.
Il 2 agosto 1961 si tenne la prima riunione tra l’Amministrazione provinciale, il comune di Frosinone, la Camera di commercio. Il 19 agosto si conveniva nel dare il definitivo nome “Nucleo di Industrializzazione Valle del Sacco”, i cui principali promotori furono 6 comuni della provincia di Frosinone, 2 enti pubblici e il Banco di Napoli, con approvazione del Comitato dei ministri per il Mezzogiorno.
Lo statuto del Ni venne ricalcato sui modelli forniti dalla Casmez ed approvato dal Comitato enti promotori, con un budget di partenza di 3.002.950 lire. Già nei mesi in cui si svolgevano gli accordi amministrativi furono avviate le attività di messa in opera di nuovi stabilimenti. Nel 1964 avevano già completato l’acquisto di terreni ed avviato le proprie costruzioni 9 ditte, per un totale di 60 ettari di terreno.
Al 1967 si registravano 16 industrie in piena attività, per un totale di 1,5 miliardi di investimenti, con un aumento medio degli addetti, rispetto al decennio precedente, del 68%. Alla fine del 1967 i competenti organi governativi approvarono la trasformazione del Nucleo in “Area di Sviluppo Industriale”.
Nel 1969, oltre le già citate, si contavano nei censimenti regionali altre 25 nuove industrie, (6.000 addetti), 17 industrie in costruzione e ben altre 52 programmate, per un investimento di circa 25, 308 milioni di lire. Crebbe notevolmente anche il numero di operatori economici stranieri (su 18.967 milioni di investimento totali  nel Lazio, il Nucleo ne assorbì circa la metà).
Il 31 marzo 1970 il Consiglio dei ministri (con decreto n. 7650) approvava il Piano regolatore dell’area. La superficie passava così dagli iniziali 400 ettari di estensione a 2.500.
Al 1976 nella Valle del Sacco risiedeva il 73% della popolazione provinciale, con imponente decremento dell'impiego nel settore agricolo. Allo stesso anno la popolazione attiva in condizione professionale nel settore industriale riguarda il 44% della popolazione – la media nazionale, nello stesso periodo risultava essere del 42%. Nel settore agricolo risultavano impiegati nella seconda metà degli anni '70 poco meno del 21% della popolazione.
Al 30 ottobre 1976 le unità industriali ammontavano a 138 (283 miliardi di lire di investimento), senza considerare le attività che in quello stesso periodo erano ancora in fase di preparazione.
La folta presenza dell’industria chimica diverrà il tratto caratteristico dell’intera area.

Tipologia rischio

Un notevole numero di industrie rientravano nella cosiddetta Classe A delle «fabbriche a rischio di incidente rilevante» ai sensi della Direttiva “Seveso” (CEE 501/82). Nel 1989 la provincia di Frosinone ne presentava 29. Tra il 1999 ed il 2004, il numero era ancora molto elevato rispetto alla media regionale: 23 nei resoconti del Ministero dell’Ambiente, 19 secondo le stime dell’Arpa Lazio.

Salute e sicurezza in fabbrica

Strategie d'impresa su salute e sicurezza in fabbrica

Su questi aspetti risulta difficile ottenere dati ufficiali o riscontri scientifici circostanziati. Certo è che moltissime testimonianze raccontano di ambienti di lavoro insalubri e spesso fuori norma. Tra i pochi studi effettuati su questo tema vi furono i dati elaborati dal CNR di Roma (Laboratorio di tecnologie biomediche) tra il 1976 ed il 1978 i cui risultati furono pubblicati in:
Federazione unitaria lavoratori chimici, Indagine sull'ambiente di lavoro alla Snia di Colleferro: elaborazioni e valutazione della situazione emesse nella prima fase dell'indagine, p. 32. Questo studio è oggi reperibile anche in: http://www.retuvasa.org/snia-bpd/libro-bianco-del-fulc-colleferro-1977]. 
Scopo di questa ricerca fu quello di analizzare i fattori di nocività nell'ambiente di lavoro e le condizioni in cui esso si svolgeva, con preciso riferimento ad uno degli impianti più massicci del quadrante regionale, quello della Snia Viscosa, che dal 1969 aveva assorbito tutti gli stabilimenti Bpd.
Va ricordato che nei mesi in cui si svolgevano le indagini era in atto una grossa vertenza sindacale su tale tema, e quasi l'intera provincia era scossa da ingenti mobilitazioni operaie.
Vennero presi in analisi tre specifici settori: quello bellico, il chimico e quello ferroviario. In tutti e tre vi si registrarono comuni fattori di criticità quali: esalazioni, contatto diretto degli operai con materiale dannoso e soprattutto incauti sversamenti esterni di liquami e rifiuti industriali. Anche il settore ferroviario presentava notevoli criticità, data l'alta presenza di lavorazione e smaltimento di eternit.
Quando queste indagini vennero rese note vi fu un'immediata reazione degli apparati dirigenziali della Snia Viscosa. Il 23 gennaio 1978 ai responsabili delle ricerche del Cnr venne recapitata una missiva dalla Divisione difesa e spazio della Snia Viscosa di Roma. La Snia sottolineava di non aver autorizzato alcuno studio sugli ambienti di lavoro, né fornito informazioni o schemi di impianti, cicli di lavorazione e disposizioni per lo smaltimento, essendo tali questioni sottoposte ai vincoli del «segreto industriale» e dek «segreto militare». Vi si avanzavano ampie riserve sui dati rilevati e sulla loro consistenza scientifica. Erano in atto – stando alle dichiarazioni di tale documento – «iniziative di rinnovamento ed ampliamenti di impianto, al fine – tra le altre cose – di migliorare le generali condizioni ambientali dell’area».

L'impresa e la questione ambientale

Il rapporto tra impresa e ambiente può essere analizzato sotto diversi aspetti. Da un lato l’utilizzo e lo sfruttamento delle risorse naturali, dall’altro le relazioni tra imprese, compagine politica locale e società.
Nel primo caso la Valle del Sacco si contraddistingue per due problemi fondamentali: in primo luogo l’enorme estensione strutturale delle industrie, che hanno di fatto concorso ad un consumo di suolo perpetrato soprattutto ai danni dell’agricoltura e del patrimonio forestale; in seconda battuta l’interferenza tra settori produttivi in merito all’utilizzo delle risorse idriche, rappresentate in forte misura dal fiume Sacco. Stando a ricostruzioni ormai accertate dagli organi competenti, lungo l’intero arco cronologico che va dalla fondazione della Bpd, all’intenso sviluppo che seguì la costituzione del Ni (poi Area di sviluppo) le fonti idriche utilizzate per gli impianti di carico e scarico industriale coincisero con le fonti di approvvigionamento del comparto agricolo, potenziate e messe a disposizione attraverso una contraddittoria politica di incentivazione delle attività agroindustriali promosse dalla Casmez.
A partire dagli anni ’40, fino agli ultimi decenni del ‘900, le rimostranze riguardo i danni che tale fenomeno comportò nel sistema agricolo locale si susseguirono in modo pressoché continuativo. Volendo analizzare sinteticamente le risposte che le imprese locali diedero a tali proteste è possibile sostenere che, in gran parte dei casi, i vertici aziendali poterono sfruttare a proprio vantaggio gli orientamenti di una classe dirigente restia a prescrivere più rigidi vincoli ambientali, poiché consapevole che l’imposizione di limiti quantitativi e di costi aggiuntivi per il trattamento dei cascami di lavorazione avrebbe potuto limitare fortemente i livelli occupazionali locali, con ovvie ricadute in termini di consenso elettorale. Anche laddove la legislazione nazionale si fece più specifica (come nel caso dell’entrata in vigore della legge n. 319/76, meglio nota come Legge Merli), regione e provincia si mossero affinché venissero emesse deroghe a fine di non ostacolare i livelli produttivi dell’area.
Tra le pochissime iniziative aziendali per la predisposizione di impianti di trattamento dei liquami e dei rifiuti vi fu quella della Klopman s.p.a. nel 1985.

Posizione delle istituzioni

L’atteggiamento delle istituzioni locali fu per molto tempo caratterizzato da una certa ambiguità: le autorità locali, già a partire dalla metà degli anni ’60, non poterono certo esimersi dal denunciare e rendere noto l’emergere di una vera e propria emergenza, consapevoli però che i rapporti di forza presenti all’interno dell’area di governo, sia a livello nazionale che locale, concorrevano da sempre a mettere in discussione l’eventuale possibilità di una modifica degli orientamenti con cui si gestivano le relazioni tra industria e territorio. 
Fin dal 1968 era nota la quasi totale assenza, all’interno dell’Area di sviluppo, di sistemi infrastrutturali di depurazione e il sistematico utilizzo dei canali attigui al fiume Sacco come naturale luogo di smaltimento dei rifiuti. Lo dimostrano sia le relazioni e i certificati sanitari delle Usl provinciali, sia una folta documentazione prefettizia. È giusto il caso di fare qualche esempio.
Il 20 luglio 1968 l’Ufficio medico provinciale trasmetteva una relazione avente in oggetto alcuni “inconvenienti igienici” riscontrati nell’area di Ceccano. Venivano notificate aree di vasto ed evidente inquinamento soprattutto in prossimità delle dighe. Solo quattro giorni dopo una relazione del Ministero della Sanità indirizzata alla Prefettura di Frosinone faceva sapere che all’infuori del comune di Fiuggi, (città esente dal processo industriale), nessun comune della Valle del Sacco poteva dirsi completamente a norma dal punto di vista degli impianti di depurazione idrica. Veniva quindi allegato un elenco delle industrie che necessitavano di un rapido adeguamento alle norme igienico-sanitarie. Vi comparivano: la Bpd di Colleferro (in via di fusione con la Snia Viscosa), la Clipper Oil, lo stabilimento Squibb e decine di altre. Quella stessa estate il Genio civile di Frosinone forniva al Ministero ed alla stessa Prefettura un più preciso elenco delle ditte risultanti non a norma con gli impianti di “carico-scarico”. Se ne contavano 23, tra le quali alcune dalla nota pericolosità infestante. La ditta Stelvio-Falvaterra risultava scaricare in quel periodo, oltre a vari nitrati, 10 metri cubi di acqua al giorno contenente cianuro. Lo stesso ente proponeva quindi la costruzione di impianti consorziati. Nonostante questi evidenti risvolti, le autorità e il mondo politico, di fatto, non presero immediatamente posizione. Anzi, risulta da alcuni carteggi che proprio nell’estate del 1968 il Ministero dell’Industria, Commercio e Artigianato assicurava agli enti responsabili delle politiche industriali (quindi lo stesso Genio Civile in veste di referente territoriale del Nucleo di Industrializzazione) la concessione al «prelievo per utilizzo industriale di altri 100 litri per secondo» ad alcune industrie che avevano da poco avanzato richiesta.
Dalle analisi svolte dall’Ufficio medico provinciale nel 1971 emerse, oltre ad un ingente carico di inquinanti nelle acque del Sacco che lambivano gli stabilimenti, la totale assenza di sistemi di depurazione idrica dei rifiuti industriali, i quali defluivano già da anni nelle acque senza previo trattamento. Nonostante ciò, nel 1975, la stessa ditta ottenne le autorizzazioni necessarie allo scarico delle acque reflue appellandosi ad alcune controanalisi che riconoscevano un carico inquinante delle acque «entro livelli di pericolo». Non solo. Nello stesso periodo la ditta riceveva dalla Isveimer (l’ente finanziatore dei progetti industriali) 352 milioni di lire per lavori di potenziamento della produzione. Il fenomeno si sviluppò nello sdegno delle popolazioni locali.
Il 30 gennaio 1984 fu convocato un consiglio Provinciale straordinario. Il dottor Daniele Pisani, allora Presidente dell'Unione industriale della provincia, dichiarò la disponibilità da parte di tutte le proprie associate a contribuire alla risoluzione formulando diverse proposte di tipo finanziario, così da incentivare prioritariamente l’istallazione di nuove strutture di depurazione. Lo stesso Presidente dell’Asi (Associazione per lo sviluppo industriale), sollecitò fortemente le aziende che ancora non avevano avuto modo di collegarsi agli impianti predisposti dal progetto del Nucleo – per quanto esigui – a regolarizzare la loro situazione, assicurando, per tale scopo, adeguati finanziamenti direttamente da parte dagli enti referenti della Cassa per il Mezzogiorno. Al termine dell'incontro fu votato un ordine del giorno che, rendendo note le criticità, faceva appello ai vari enti istituzionali al fine di sollecitare ufficialmente i provvedimenti di risanamento ambientale. Una ulteriore decisiva spinta istituzionale fu presa il 2 marzo 1984, anche grazie sollecitazioni provenienti dai neonati comitati civici. Una deliberazione della giunta regionale affidò alla ditta “Termomeccanica s.p.a.” di La Spezia, l'incarico di gestire il risanamento infrastrutturale per gli usi delle acque. Vennero stanziati ben 62 miliardi di lire, ma le lente procedure amministrative e le reciproche accuse di scarsa competenza da parte degli enti interessati segnarono il declino di questo progetto. 
Durante l’estate del 1987 le denunce a mezzo stampa, che raccoglievano gli appelli dei cittadini e degli operatori agricoli si successero senza sosta e nello stesso periodo l’area politica del centro-destra – da sempre maggioritaria in provincia di Frosinone – subì una spaccatura: da un lato si schierarono coloro che avevano promosso lo sviluppo industriale e che non vollero, in quel momento, addossarsi colpe che riguardavano più o meno direttamente le scelte di natura amministrativa di cui erano di fatto responsabili. Dall’altra, all’interno della stessa area, si mossero frange di esponenti che contestavano apertamente la mala gestione del polo di sviluppo.
I comuni iniziarono a muoversi in modo autonomo rispetto alle direttive regionali e provinciali. Il comune di Patrica fu tra i primi ad emettere ordinanze che vietassero l’utilizzo delle acque del fiume Sacco per scopi irrigui dei campi, balneazione o approvvigionamento per il bestiame. Lo stesso comune vide formarsi attorno ad alcune famiglie un Comitato spontaneo per la vivibilità, il quale accusava apertamente le sospette attività di sversamento di liquami nocivi da parte delle locali ditte Forter e Albright-Wilson.  Altrettanto fecero i comuni di Ceccano e di Castro de’ Volsci nel 1987, a seguito dei risultati delle analisi Usl svolti nell’estate di quell’anno. Il 14 luglio un nucleo dei Carabinieri di Frosinone avanzò infatti denuncia di reato ambientale a due addetti della ditta Elicotteri Meridionali, (oggi Agusta Westland), e della Face Teleinformatica, sorpresi nello smaltimento di materiale nocivo in un canale nei pressi dei loro stabilimenti.

Aspetti giudiziari

Nel 1993 la Corte di Cassazione del tribunale di Velletri emanò l'obbligo di bonifica di tutti i siti inquinati a seguito della ricerca congiunta svolta dalla guardia di finanza di Colleferro e dalla Usl a seguito della quale si scoprì che nelle aree denominate “Arpa 1”, “Arpa 2” e “Cava di pozzolana” – in prossimità del perimetro industriale ex Bpd – erano presenti ingenti quantità di rifiuti industriali abbandonati, per un ammontare complessivo di circa 4 ettari di suolo arabile utilizzati come siti di discarica.

Caratteristiche dei danni alla salute e all'ambiente

La più evidente ripercussione pare sia stata scatenata dalla diffusione di sostanze di composizione di insetticidi, antiparassitari e cascami chimici di varia origine sui prodotti agricoli e nell’organismo degli animali. Quale principale causa degli effetti della diffusione di tali elementi è stata riconosciuta l'entrata in circolo della catena alimentare di sostanze particolarmente dannose come il Betaesclorocicloesano, sostanza chimica presente in un potente insetticida: il lindano, impiegato sin dagli anni ’50 per il trattamento delle sementi, dei suoli, degli alberi da frutta e del legname, come prodotto antiparassitario per gli animali domestici e d’allevamento e in alcuni preparati farmaceutici sotto forma di lozioni, creme e shampoo per la cura e la prevenzione nell’uomo della pediculosi e della scabbia.
L’uso del lindano è stato vietato nel 2001. Il b-HCH presente in questo insetticida è caratterizzato dall’essere estremamente resistente alla degradazione e persistente nell’ambiente, tende ad accumularsi nelle specie vegetali e nei tessuti biologici. Negli animali può essere eliminato con il latte ed essere presente nel tessuto adiposo. Per queste ragioni, gli alimenti provenienti dal bestiame contaminato, possono risultare dannosi per la salute umana.
Alcune analisi svolte a seguito dell'ennesima moria di animali da stalla risalente al 2005, riscontrarono che su un campione di 246 persone residenti in quell’area almeno 135 risultarono contaminate. Secondo le proiezioni del dipartimento di Epidemiologia dell’Asl RM/E, il 55% dei casi trattati dovrebbe risultare contaminato.

Indagini ambientali ed epidemiologiche

Tra il 2000 e il 2009 i risultati delle indagini condotte dal Dipartimento epidemiologico della “Asl Roma E” contribuirono al riconoscimento della vera e propria emergenza. In seguito all’emergenza sorta nel 2005, venne istituita un’unità di crisi composta dal Dipartimento prevenzione dei Servizi veterinari di tre Asl (RMG, FRA e FRB), Regione Lazio, Area sanità veterinaria e Tutela degli animali, IZSLT: Osservatorio epidemiologico e dipartimento chimico. Il 3 marzo 2005, anche l’istituto zooprofilattico sperimentale della Regione Lazio e Toscana, nel corso dei controlli previsti dal Piano nazionale residui, riscontrò in un campione di latte proveniente da un’azienda bovina di Gavignano (Rm), un valore di b-HCH circa 20 volte superiore al livello consentito dalla legge. Si poté di conseguenza concludere che la contaminazione ambientale dei terreni agricoli limitrofi al fiume Sacco dovesse essere attribuita all’inquinamento del suolo e del sottosuolo nell’area industriale di Colleferro e che, a causa del dilavamento, il b-HCH confluì poi nel fiume. Inoltre, nel contesto del Piano nazionale residui, si decise per l’emanazione di un extrapiano regionale in cui si fissarono campionamenti periodici sul latte, i foraggi aziendali ed altre matrici animali. Infine furono adottati dei provvedimenti per garantire l’esclusione dalla filiera dei prodotti (latte e carni) provenienti dalle aziende non conformi. A tutela della salute umana si decise di abbattere tutti i capi riscontrati contaminati dal b-HCH. In seguito all’emergenza, ed in considerazione dei possibili effetti nell’uomo dell’esposizione al lindano, è stato avviato uno studio epidemiologico sulla popolazione a rischio nei tre comuni più vicini al polo industriale incriminato (Colleferro, Gavignano, Segni).

Processi di bonifica

Nel 1985 fu stilato un primo progetto di disinquinamento che prevedeva l’immissione nei collettori industriali di “carico-scarico” di derivati di coloro, prodotti reagenti che avrebbero dovuto fungere da naturali disinfettanti dei rifiuti tossici. I tecnici, malgrado il loro impegno, dovettero costatare che la carenza strutturale degli impianti non assecondava tale processo e che le sostanze chimiche di reazione non bastavano a contenere gli effetti negativi dei liquami di scarico. Anzi, in alcuni casi, pare che tale iniziativa abbia concorso in larga misura ad aggravare il problema.

Si susseguirono altri progetti di bonifica negli anni ’90 e a ridosso della grave crisi che colpì le campagne ciociare nel 2005, i cui sviluppi sono ancora in corso e sui quali appare difficile dare giudizi di valore netti. Certo è che la tempistica presenta caratteri elefantiaci, e se ad oggi la situazione, secondo alcuni osservatori, può dirsi in parte “sotto controllo” – parere per molti versi opinabile – è anche da mettere in relazione alla generale crisi che il settore industriale della provincia vive ormai da diversi anni, la quale ha condotto, in diversi casi, all’interruzione della produzione di molti stabilimenti e alla consecutiva dismissione.

Ipotesi ed esperienze di recupero

Tra i più recenti esperimenti di recupero va segnalato l’accordo intercorso negli ultimi anni tra l’ex assessore regionale all’agricoltura Daniela Valentini e il gruppo Acea di Roma per la realizzazione di un grande impianto elettrico da biomasse, con l’obbiettivo di rivitalizzare l’utilizzo delle risorse localmente disponibili per un uso “non food” dei prodotti agricoli. Il recupero della Valle potrebbe passare dunque attraverso la nascita di una “Società di distretto” costituita dalle Camere di commercio di Roma e Frosinone, dalle province di Roma e Frosinone e dall’Arsial, con un investimento iniziale di circa 2 milioni di euro. L’attività prevede una messa a coltura di girasoli su 40 ettari fuori dall’area interdetta all’uso agroalimentare, e la messa a dimora di talee di pioppo (come naturale organismo disinquinante) su 40 ettari all'interno dell'area interdetta, ovvero a ridosso del fiume Sacco. Gli impianti che saranno costruiti dovrebbero servire alla trasformazione di colza e girasoli in biocarburante.

Fonti bibliografiche e documentarie

Pubblicazioni

  • AA. VV., Il gruppo industriale BPD, Stabilimento arti grafiche A. Pizzi, Milano, 1962.
  • G. Ambrosi, Il bosco demaniale Faito di Ceccano di ettari 341 donato alla Società Bomprini Parodi Delfino per 60 milioni, Tip, Frosinone, 1964.
  • T. Baris, S. Casmirri (a cura di), Un potere locale tra seconda guerra mondiale e dopoguerra: strategie e orientamento della chiesa ciociara tra il 1943 e il 1948 in: Lo Stato in periferia, Università degli studi di Cassino, Viella, Roma, 2003.
  • T. Baris, Il ceto politico del Lazio meridionale tra centro e periferia: dinamiche della rappresentanza e costruzione del potere (1946-1973), in: www.sissco.it/fileadmin/user_upload/Attivita/...sissco/.../PaperBaris.pdf
  • F. Battista, Dal “Nucleo di industrializzazione” all’”Area di sviluppo” della provincia di Frosinone. In: La giornata dell’industria, Atti del Convegno, 27 - 06 – 1968, Cassino.
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  • F. Mastracco e C. Pompeo, Consorzio per l’area di sviluppo industriale della provincia di Frosinone, Tipografia Pasquarelli, Sora, 1981.
  • U. Mazzocchi, Colleferro, dal borgo alla città industriale, Ernesto Remese, Roma, 1980.
  • G. Milone, Insediamenti industriali e struttura territoriale della Valle del Sacco, Centro studi e ricerche economiche e sociali dell’Associazione Regionale delle Camere di Commercio, Industria, Artigianato del Lazio, Roma, 1969.
  • Ministero dell' Agricoltura e delle Foreste, L’agricoltura nel Lazio (1861-1960), Ispettorato Agrario Compartimentale del Lazio, Roma, 1964.
  • Ministero dell'Ambiente, Rapporto sullo stato dell’ambiente del Lazio, Servizio Tecnico della struttura centrale, 2004.
  • Ministero dell'Ambiente, Relazione dello stato dell’ambiente, 1998.
  • C. Nucci, Economia e territorio nella provincia di Frosinone, Giuffrè, Milano, 1978.

Archivi

  • Archivio di Stato di Frosinone, fondi:
    • Camera di Commercio, Industria e Artigianato
    • Genio Civile (serie Cassa per il Mezzogiorno)
    • Ispettorato dell’Agricoltura
    • Ispettorato delle Foreste
    • Ispettorato dell’Industria
    • Prefettura (versamenti II, III, IV, V)
Ottobre 2013 - A cura di Marino Ruzzenenti
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Parte degli stabilimenti di Ceccano.
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In grigio, l’area di sviluppo industriale, all’interno della quale coesistevano i distretti di bonifica (in verde).
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Una bozza dei progetti relativi alla costruzione del tratto autostradale che percorre longitudinalmente le campagne anagnine, da poco investite dalla pianificazione industriale.
In questo progetto è possibile rilevare sia l’istallazione degli impianti industriali all’interno di una zona agricola “vincolata”, sia il tratto fluviale che lambiva l’area di recente bonifica.
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In verde, l’esteso comprensorio di bonifica agricola. In grigio le zone di addensamento industriale. In blu il tratto autostradale che attraversa la Valle.